Il
fisico tonico di un trentenne, la
capigliatura fantasiosa di un direttore
d’orchestra, i lineamenti scavati come
in un tronco di quercia: così ricordiamo
mons. Raffaello Lavagna,
infaticabile autore teatrale e
radioteatrale, oltre che regista
radiofonico e televisivo e per lungo
tempo critico teatrale per la Radio
Vaticana. E’ mancato ieri a Roma. Fra
meno di tre anni ne avrebbe compiuti
100. Originario di Savona, da sempre
appassionato di teatro, aveva fatto suo
un motto di Pirandello:
“Il teatro è propaganda: ognuno fa la sua,
però basta saperla fare”.
Per la verve
risoluta ricordava il don Camillo di
Guareschi, per il variegato e qualificato
repertorio messo su in 60 anni di carriera
poteva competere con Strehler o Ronconi. Dal
1950 al 2011 ha firmato e allestito decine
di spettacoli, dimostrando quanto produttiva
può essere l’alleanza fra il palcoscenico e
l’apostolato. Grandi classici, vite di
santi, leggende e favole per bambini, e non
solo spettacoli teatrali, ma anche
radioscene che impreziosiscono gli archivi
Radio Vaticana, allestimento di concerti e
libretti di opere liriche, perfino
spettacoli di burattini. Da Il
gran teatro del mondo di Calderon de la
Barca a Marcellino
Pane e Vino con
le musiche del maestro Alberico Vitalini, da Cuore di
Edmondo De Amicis a Assassinio nella
Cattedrale di Thomas S. Eliot,
da Pinocchio ai Fioretti di San Francesco,
fino al Trittico Colombiano e a Il Mistero
del Corporale, su musica di Vitalini,
portato in scena nl 2004 in occasione del
Congresso Eucaristico Diocesano, spettacolo
molto apprezzato da Papa Giovanni Paolo II. E
anche un testo di grande lungimiranza, "Mio
fratello negro", dedicato all’integrazione
razziale e alla donazione di sangue.
“Mi aveva impressionato… Fare qualcosa per
l’integrazione razziale. Allora inventai –
diciamo così – uno spettacolo che poteva
essere ambientato sia in America, ma anche
in Africa, e in cui c’era una famiglia con
un padre razzista, il quale non voleva che
suo figlio, Jimmy, fosse amico del figlio
della ‘serva’, badante di allora, negra.
Quindi, a un certo momento, con il frustino
il papà picchia il piccolo negretto e lo
caccia via. Naturalmente, con il tema
dell’integrazione razziale mi era venuto in
mente di fare anche le gare e di abbinare a
questo tema anche quello della donazione del
sangue. Allora, siccome il bambino negro
salva il bambino bianco, ma viene ferito
mortalmente – dal momento che si trovano in
Africa, in America, in una qualsiasi zona
dove non c’è un ospedale – bisogna fare la
donazione del sangue per salvare il piccolo.
Ci provano la madre bianca, la madre negra,
lo stesso dottore ecc. però – come voi
sapete benissimo – se il sangue non è
compatibile, la donazione non si può fare.
L’unico che non aveva provato con il suo
sangue era il padre razzista. Allora mi
ricordo sempre che dissi al ragazzo: ‘Tu,
vai vicino al papà, lo tiri per la giacca e
gli dici’: ‘Papà… perché non provi tu a
donare il tuo sangue per salvare il
piccolo?’. Il padre naturalmente risponde
con un “Uffa!” – non vuol far vedere… – dice
‘Uffa! Avete sempre ragione voi ragazzi…!’.
Però alla fine dona il suo sangue. Il
dottore dice che il sangue è compatibile.
Allora il piccolo bambino bianco, suo
figlio, si rivolge al papà e gli dice:
‘Papà, adesso tu non puoi più picchiare il
piccolo Tommy’. ‘Perché?’ risponde il papà.
‘Perché adesso, se gli hai dato il tuo
sangue, Tommy è un po’ come se fosse mio
fratello!’”
Molte le collaborazioni eccellenti di mons.
Lavagna, da Andrea Camilleri a Gian Carlo
Menotti, da Roldano Lupi a Renato Rascel, da
Ernesto Calindri al giovanissimo Claudio
Capone, da lui scoperto, da Roman Ukleja a
Irene Papas.
Mons. Lavagna è stato un infaticabile
sacerdote con la irrinunciabile missione del
teatro e dello spettacolo, cosciente
dell’importanza di veicolare il messaggio
cristiano in forma gradevole e accattivante:
una battaglia che, in anni molto lontani
dagli attuali, lo vide spesso alle prese con
le comprensibili resistenze di chi vedeva
nel palcoscenico una specie di anticamera
dell’inferno.
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