
Ci troviamo davanti ad una pagina
del Vangelo che può essere definita sconvolgente,
paradossale. Gesù ci dice che occorre amare tutti, anche il
proprio nemico. Egli ce lo prescrive, ma allo stesso tempo
ce ne indica le m motivazioni.
Per comprendere bene il messaggio di Gesù distinguiamo nel
brano evangelico tre parti.
Nella prima troviamo l’enunciazione più forte e
provocante. E’ un invito che appare impossibile realizzare.
Sembra una meta astratta; infatti si tratta di fare del bene
a coloro che ci odiano, di benedire coloro che ci
maledicono, di pregare per coloro che ci maltrattano, di
porgere l’altra guancia; di non rifiutare la tunica a chi
leva il mantello, di dare a chiunque chiede. Gesù ci
richiede non un amore generico, un puro sentimento di bontà,
astratto, ma un concreto, operoso. Un amore che porta a
pregare anche per i nemici. Qui si nota e si gioca la
differenza tra il cristiano e il mondo. L’amore del
cristiano è un amore del tutto originale.
E’ un amore universale che sfocia nella cosiddetta “regola
aurea”, vale a dire si deve agire nel modo come desideriamo
che gli altri agiscano nei nostri riguardi. Questa regola è
una norma di solidarietà umana, che si trova non soltanto
nella Scrittura (cf. Tb 4,15; Sir 31,15), ma anche in alcuni
autori pagani. Nel discorso di Gesù essa acquista un valore
del tutto particolare.
Nella seconda parte del Vangelo Gesù dà le
motivazioni per le quali il cristiano deve amare con amore
gratuito, disinteressato, amando persino il nemico, colui
cioè che gli ha fatto del male. Esse sono due: distinguersi
dai peccatori ed essere figli dell’Altissimo. Gesù precisa
che se si ama coloro che ci hanno fatto del bene che merito
si può avere. Amare chi ci ama, prestare a chi certamente ci
restituisce non può essere considerato gesto gratuito. Anche
i peccatori fanno lo stesso. Occorre invece amare come ama
Dio, cioè con il suo amore gratuito, misericordioso. I
cristiani amano quali figli dell’Altissimo, figli di Dio che
è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. L’aggettivo
“benevolo” in greco esprime un amore attento, accogliente,
mite, che non fa pesare ciò che dona.
I cristiani devono essere non soltanto imitatori dell’amore
di Dio, ma ne devono essere anche rivelatori agli altri.
Spetta a loro saperlo manifestare al mondo, facendo
comprendere che la gratuità è l’anima di ogni vero amore.
Ma Dio non è soltanto il modello di tale amore; ne è anche
la sorgente. Da lui riceviamo la capacità di amare gli altri
con vera gratuità. Per noi figli di Dio, la norma della vita
non è soltanto umana, ma divina, cioè siamo invitati a
vivere con lo stile di Dio: questa è la legge che
caratterizza la nostra autentica identità. E l’amore di Dio
ci viene riversato nei cuori per mezzo dello Spirito Santo (
Rm 5,5): è lo Spirito Santo che ci rende capaci di amare con
lo stile di Dio.
Nella terza parte Gesù precisa che i gesti di amore
disinteressato, gratuito del cristiano non sono vuoti.
Ritorneranno a suo vantaggio. Egli lo spiega con diversi
precetti riguardanti il giudizio verso gli altri e la
misericordia. E’ Dio che ricompenserà con una misura
abbondante.
Il perdono è paradossale, ma di esso ha bisogno qualsiasi
collettività se vuole promuovere una convivenza che possa
ritenersi umana. Se ne ha bisogno ad ogni livello: nelle
relazioni familiari, nelle relazioni amicali, nella società,
nei rapporti fra gli stessi popoli. Senza un minimo di
riconciliazione il mondo è destinato a vivere nel continuo
odio.